Cani e Alpinismo #2
Mi sembra evidente che sia necessaria una piccola integrazione al post sul cane alpinista, perché una delle critiche più comuni rivolte al discorso (che ricordo essere basato su fatti scientifici, non su idee personali…) è che anche noi facciamo lavorare i cani. Li facciamo addirittura tirare la slitta, poverini. E così via per altre forme di lavoro.
La cosa curiosa è che chi solleva questo tipo di obiezione non si rende nemmeno conto che, così facendo, sta in realtà confermando la tesi. Ignora infatti che, quando un cane con alle spalle una selezione per il lavoro svolge l’attività per la quale è stato geneticamente programmato, non sta solo assecondando le richieste dell’umano, ma sta soprattutto compiendo qualcosa che lo gratifica e lo rende davvero felice. E non felice nel senso inteso dal gentilista dell’area cani, ma felice nel senso biologico e fisiologico del termine.
Il comportamento di lavoro nel cane infatti, come in tutti i mammiferi, è regolato dal sistema della ricompensa dopaminergico, che ha epicentro nell’area tegmentale ventrale (VTA) e proietta al nucleo accumbens e alla corteccia prefrontale. Quando un comportamento è “adattivo” per la specie (correre, cacciare, trainare, condurre greggi), l’attivazione di questo circuito produce piacere e motivazione a ripetere l’azione.
Potremmo dire che nei cani da slitta (ma in generale nel cane lavoratore) succede un fenomeno simile al runner’s high umano: l’attivazione muscolare prolungata stimola la liberazione di endorfine (peptidi oppioidi endogeni) da parte dell’ipofisi e del sistema nervoso centrale. Le endorfine si legano ai recettori μ-oppioidi, generando analgesia naturale e sensazione euforica. L’attività ritmica e intensa aumenta il rilascio di dopamina nella via mesolimbica, consolidando la sensazione di piacere. Il lavoro di squadra e sincronizzazione stimola la secrezione di ossitocina, l’ormone della socialità, che rinforza i legami con il branco e con il conduttore.
Il risultato è che il cane percepisce il traino non solo come sostenibile, ma come piacevole. In termini di selezione, gli individui che mostravano questo “piacere intrinseco” nel lavoro erano più affidabili e prestanti, e sono stati scelti come riproduttori. Chiaramente il processo di selezione nei secoli passati non era “cosciente” in senso scientifico. Funzionava in modo empirico, ma sempre su questa base.
In un cane messo su un sentiero alpinistico accade l’opposto: i movimenti non sono ritmici né naturali per la sua morfologia. La muscolatura lavora in modo discontinuo, con contrazioni eccentriche e torsioni articolari innaturali. Questo stimola più cortisolo (ormone dello stress) che endorfine. Non c’è rinforzo dopaminico legato all’attività stessa. L’unico stimolo dopaminico deriva dall’ansia sociale di “non restare indietro”, che non è un piacere intrinseco ma una forma di pressione. Il rischio di microtraumi articolari e dolore riduce ulteriormente la possibilità di un’esperienza positiva: dolore, attivazione nocicettiva, inibizione delle vie dopaminiche, aumento cortisolo.
In pratica: il cane che traina entra in un ciclo virtuosamente rinforzante (piacere, analgesia, socialità), mentre il cane che arrampica entra in un ciclo potenzialmente stressante (fatica, dolore, rischio).
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